Il ‘sentimento di Roma’ secondo Hawthorne

«Diamo un fuggevole sguardo a tutte queste cose: a questo cielo luminoso, a quei lontani monti turchini, alle rovine etrusche romane, cristiane, alla raccolta di famosissime statue nella sala, con la speranza di mettere il lettore in quello stato d’animo che tanto spesso a Roma si prova. è un vago senso di ponderosi ricordi, la percezione così pesante e intensa d’una vita trascorsa, di cui questo luogo fu il centro, che il momento presente ne viene scacciato o compresso e le nostre faccende e interessi personali non sono qui che la parvenza di una realtà che altrove gli appartiene […]

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Hypnos e Arianna

Il Sonno (Hypnos), figlio della Notte, è fratello gemello della Morte (Thanatos), dicevano gi antichi — che in entrambi veneravano divinità potentissime. Le ragioni del gemellaggio erano molte, in molti casi ovvie e non solo antiche. Per esempio potrà essere capitato anche a noi di invocare il sonno come unico efficace rimedio a un grande dolore. Magari dopo una storia d’amore finita male. Di desiderarlo — più o meno consapevolmente — come “immago della fatal quiete”, sua gemella. Magari persino di forzarlo con il ricorso a sonniferi e psicofarmaci. Può essere capitato. E forse proprio una situazione di questo tipo ispira la scena — ricorrente nella ceramica antica — di Hypnos che pietosamente aleggia sul capo di Arianna, nell’attimo fatale in cui Teseo si alza dal suo letto e l’abbandona.

Al Sonno e alla sua alata gemella è dedicata la sala XXIV del nostro Museo Immaginario.

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Naufragare nel mare e nel vino

Per almeno due motivi il cosiddetto “cratere del naufragio”, conservato al Museo archeologico di Pithecusae (Ischia), è un reperto di valore storico enorme: essendo databile alla seconda metà dell’VIII sec. a.C., costituisce il più antico esempio di pittura vascolare figurata finora rinvenuto in Italia; inoltre, la rappresentazione del naufragio che vi campeggia ha pochissimi riscontri in tutta l’arte arcaica e classica ed è per questo tanto più preziosa.

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Mishima, l’Auriga e il miracolo greco

«La testa dell’Auriga ha un’originalità diversa dalle teste marmoree delle epoche posteriori, esprime la giovinezza semplice di un mortale che non assomiglia a nessuna divinità. Il volto mi pare ancora più bello di quello dell’Apollo. Non c’è traccia di divino, il pudore al posto dell’arroganza e la purezza al posto della lussuria sprigionano profumo. Il pudore del vincitore, la purezza luminosa: quanto tale espressione di verità ci colpisce nel cuore! L’arte, assai più che di un soggetto oscuro o serio, è espressione di un’imperfezione»

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Mia madre, dieci minuti ancora


In un brevissimo racconto di qualche anno fa l’americano David Leavitt affronta un tema ben noto alla letteratura antica, a partire da Omero: incontrare la propria madre dopo la morte.

«La telefonata arrivò. Dopo mesi di laboriose trattative era stato finalmente programmato un incontro con mia madre, morta da tre anni. L’appuntamento era alle dieci di quella mattina all’Aquatic park, vicino al campo da bocce dove si ritrovavano gli Italiani di una certa età»

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Pastorale greca, per flauto d’osso e sorriso

Che gli antichi individuassero una forma di eden nella vita dei pastori ce lo ricordiamo ancora noi moderni quando (sempre più raramente) utilizziamo parole come “bucolico”, “pastorale”, “arcadia”. E in effetti nelle arti visive non meno che in tanta letteratura il locus amoenus per eccellenza è dove un pastore si ferma per pascolare le sue greggi: l’ombra di un albero o di una grotta, l’erba tenera su cui distendere le membra (solo o in dolce compagnia), l’acqua di un ruscello e di un laghetto sotto un cielo mite, con qualche nuvola e volo di uccelli. A questi elementi ne vanno aggiunti poi almeno altri due più difficili da rappresentare con parole o linee e colori: i profumi e la musica (“pastorale”, appunto) di uno strumento a corde o di un flauto.

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Omero sulla spiaggia

«Ermes Cillenio chiamava fuori le anime dei Proci. Aveva la bella verga d’oro in mano, la verga con la quale incanta gli occhi degli uomini, a chi vuole: altri invece li risveglia anche dal sonno»
L’ora del tramonto sul mare di porpora, sotto il cielo che a poco a poco s’infuoca e s’insanguina, è perfetta per rileggere la scena di Hermes che conduce all’Ade le anime dei Proci, spietatamente sterminati da Odisseo — all’ inizio del ventiquattresimo canto. Da qui inizia un’altra discesa nel regno dei morti, seppure anche se meno nota della nekyia dell’undicesimo libro. 

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“Il più profondo segreto della vita”

«”Venga con me.” Si alzò, come se il tempo fosse essenziale. “Venga. Le mostrerò il più profondo segreto della vita. Venga.” Rapido, fece il giro del porticato. Lo seguii al piano di sopra. Qui mi spinse sulla terrazza.
“Vada a sedersi alla tavola. Con le spalle al sole.”
Un minuto dopo comparve, portando qualcosa di pesante drappeggiato in un asciugamano bianco. Lo depose con cautela in mezzo alla tavola. Poi tacque, si assicurò che io stessi guardando prima di togliere, gravemente, il panno.

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“Piantare in Asso” (o a Rangoon) la propria donna: “Il tango del vedovo” di Neruda

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La figura archetipica dell’uomo che, nel cuore della notte, stando attento a non fare rumore s’alza dal letto in cui la propria donna è sprofondata nel sonno, si veste, raggiunge la porta con le scarpe in mano, la apre come fosse un ladro, quindi se la chiude alle spalle per dileguarsi per sempre è degnamente rappresentata nella mitologia greca dall’eroe del labirinto e del Minotauro, l’ateniese Teseo.

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